5 USANZE GIAPPONESI DA CONOSCERE: una porta aperta sulla cultura del Sol Levante

da | Set 4, 2024

Il Giappone è una terra di tradizioni millenarie, dove usanze antiche si intrecciano con la vita moderna. Ecco cinque usanze giapponesi, pratiche culturali che incarnano l’essenza della cultura giapponese e permettono di avvicinarsi a una società ricca di significato simbolico e bellezza estetica. 

Queste usanze ci invitano anche a riflettere su valori universali come la pazienza, la perseveranza e la capacità di trovare significato e bellezza nell’imperfezione, tutti elementi che abbiamo inserito nelle nostre storie.

1. Hanami: l’arte di ammirare i fiori di ciliegio

L’Hanami, letteralmente “ammirare i fiori”, è una tradizione che risale a più di mille anni fa, durante l’epoca Nara (710-794 d.C.). Originariamente, l’Hanami si concentrava sulla contemplazione dei fiori di pruno, ma durante l’epoca Heian (794-1185 d.C.), l’attenzione si spostò sui fiori di ciliegio (sakura). Questo evento simbolizza la bellezza effimera della vita e il rinnovamento, nonché la transitorietà del tempo. Durante la primavera, i giapponesi si riuniscono sotto gli alberi di ciliegio in fiore per fare picnic, condividere momenti con amici e famiglia, e riflettere sulla fugacità dell’esistenza. 

L’Hanami è un momento di celebrazione e di introspezione, dove la natura diventa un riflesso delle emozioni umane.

2. Origami: l’arte di piegare la carta

L’Origami ha origini che risalgono al periodo Edo (1603-1868), anche se la pratica di piegare la carta è molto più antica, probabilmente introdotta dalla Cina intorno al VI secolo. 

L’Origami non è solo un passatempo creativo, è una vera e propria arte con profonde radici spirituali e filosofiche. Tradizionalmente, l’Origami era associato a cerimonie religiose e rituali, e piegare la carta senza tagliarla simboleggiava l’integrità e l’interezza dell’universo. Un esempio famoso è la gru di carta (Senbazuru) che in Giappone rappresenta la pace e la speranza. La leggenda dice che piegando mille gru di carta si possa esprimere un desiderio. 

L’Origami è quindi molto più di una semplice tecnica, è una forma di espressione artistica che incarna pazienza, precisione e bellezza.

3. Cha no yu: la cerimonia del tè

La cerimonia del tè, o Cha no yu, è forse una delle pratiche più iconiche della cultura giapponese. Questa cerimonia del preparare e bere tè è un rituale complesso che ha radici nel Buddismo Zen e che ha sviluppato una propria filosofia estetica e spirituale. Introdotta dalla Cina nel IX secolo, la cerimonia del tè si è evoluta in Giappone grazie ai monaci zen che utilizzavano il tè come strumento per la meditazione.

Nel XV secolo, il monaco buddhista giapponese Sen no Rikyū codificò la cerimonia del tè, enfatizzando quattro principi fondamentali: armonia (wa), rispetto (kei), purezza (sei) e tranquillità (jaku). Ogni gesto, ogni strumento, e persino l’ambiente in cui si svolge la cerimonia, sono scelti con cura per creare un’atmosfera di pace e riflessione. Il Cha no yu è un’esperienza che invita a concentrarsi sul momento presente per trovare la bellezza nella semplicità.

4. Ikebana: l’arte della composizione floreale

L’Ikebana, l’arte della disposizione dei fiori recisi, ha una storia di oltre sei secoli, con radici che risalgono ai primi rituali buddisti, dove i fiori venivano offerti nei templi. Tuttavia, l’Ikebana si è evoluta nel tempo, diventando una forma d’arte a sé stante durante il periodo Muromachi (1336-1573). A differenza delle composizioni floreali occidentali, che spesso si concentrano sulla quantità e sulla vivacità dei fiori, l’Ikebana enfatizza l’armonia delle linee, lo spazio vuoto e la disposizione asimmetrica. Ogni elemento di una composizione Ikebana ha un significato: i rami rappresentano il cielo, la terra e l’umanità, mentre i fiori simboleggiano la vita e la natura. 

Questa forma d’arte richiede concentrazione e meditazione, ed è considerata un percorso spirituale che riflette il rapporto tra l’uomo e la natura.

5. Kintsugi: l’arte di riparare con l’oro

Il Kintsugi, che significa “riparare con l’oro”, è una pratica giapponese che risale al XV secolo e trova origine nel concetto estetico del wabi-sabi, che celebra la bellezza dell’imperfezione e della transitorietà. Secondo la leggenda, la tecnica nacque quando il comandante dell’esercito Ashikaga Yoshimasa chiese di riparare la sua tazza da tè preferita che si era rotta. Gli artigiani, invece di nascondere le crepe, le evidenziarono riempiendole con una lacca mescolata a polvere d’oro, creando così un’opera d’arte unica. 

Il Kintsugi quindi è una tecnica di riparazione, ma è soprattutto un modo di vedere la vita: le crepe e le riparazioni fanno parte della storia di un oggetto, e la sua bellezza risiede nella sua unicità e nelle sue imperfezioni. 

Questo concetto invita a considerare le ferite e le cicatrici, non come qualcosa da nascondere, ma come una parte preziosa della nostra storia.

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